Oltre al training autogeno e al lavoro tecnico che abbiamo fatto, ha sicuramente avuto un’enorme importanza la mole di chilometri e le maratone disputate: la mia esperienza mi fa dire che certi adattamenti hanno bisogno di tempo per potersi verificare nella loro totalità …

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Gli stessi problemi che avevo con Gelindo li ritrovo oggi in altri atleti che hanno ancora una corsa dispendiosa, non da maratoneta, con i piedi che spingono troppo e salgono molto dietro il corpo.

Una trasformazione per certi versi simile a quella di Bordin la vidi nel giro di 2 anni in Frank Shorter: mi ricordo che nel 1970 venne ospite a casa mia e si allenò per 15 giorni con Pippo Cindolo.

Allora era ancora un mezzofondista con una corsa ampia, una muscolatura brillante, piedi che spingevano molto. Ricordo che fece un ottimo allenamento al coperto, al Palazzetto dello Sport di Bologna.

10 volte i 400m attorno ai 57″ perché rientrando negli Stati Uniti avrebbe dovuto correre le 2 miglia indoor. A me sembrava in grado di fare i 1’500m in mendo di 3’36″e glielo dissi.

Ma Shorter mi rispose che alle Olimpiadi del 1972 a Monaco – sua città natale – avrebbe corso e vinto la maratona. E così fece. La sua corsa nel frattempo si era trasformata: Frank correva piatto, molto aderente al terreno, senza spingere con i piedi.

Enrico Arcelli sta intervistando Luciano Gigliotti sull’evoluzione di Gelindo Bordin, subito dopo l’oro di Seul 1988. E al Lucio nazionale cade questa perla su Frank Shorter, che dedico all’evoluzione maratonetica di Mo Farah.

Ce la farà a sistemare su strada il passo vincente in pista? Come ha elaborato l’esordio a Londra 2014? Ottavo in 2h08’21”, quattro minuti dietro il vincitore, senza record britannico: altri anni, altre corse, stessi principi.

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