Correre o Morire_Kilian Jornet_resSono arrivato tardi perché il titolo è stato un forte deterrente alla lettura – troppo perentorio per i miei gusti – e perché mi sono accontentato di quello che vedevo e mi raccontavano di Kilian Jornet. Stavo per restituire il libro, prestatomi insieme a quello di Pietro Mennea quattro mesi fa, mi ero fermato a un quarto. Poi la lettura sul Cammino di Santiago mi ha dato nuovo slancio e me lo son bevuto in fretta. Kilian poteva farsi aiutare a scrivere meglio, a equilibrare spazi e contenuti, come Scott Jurek con Steve Friedman (un bel video con i due super atleti chiude la presentazione).

Mi accorgo di aver seminato molto rileggendo il post sull’impresa del Cervino un anno e mezzo fa e col libro Kilian ha messo una virgola alla sua carriera, avendo già vinto (quasi) tutto quello che poteva vincere a 24 anni: forse per evitare la monotonia ha lanciato assieme al suo sponsor tecnico il progetto Summits of my Life, già a buon punto verso la cima più alta del mondo dove il problema, come ricorda Pietro Trabucchi nell’esperienza con Bruno Brunod, è anche il traffico.

Cosa mi resta del libro? Sembra tutto facile vedendo Kilian muoversi nel suo ambiente naturale, la montagna, ma dietro un sicuro talento c’è la passione di alimentarlo ogni giorno, avendoci creduto incondizionatamente. Anche dopo l’infortunio al ginocchio – frattura della rotula a 19 anni – che l’ha bloccato per mesi fra gesso e recupero. E la mia lettura poteva fermarsi alle prime 30 pagine. Poi tante storie e particolari tecnici che scalderanno il cuore e la fantasia dei trail runner.

A me sono piaciuti molto i panini di prosciutto e formaggio di capra ai ristori della traversata dei Pirenei e la crêpe di marmellata nel finale della discesa del Kilimangiaro: un po’ di cibo solido in mezzo a tanti gel. E fra le righe avrebbe dovuto esserci più acqua: Kilian patirebbe meno se si ricordasse di bere più spesso.

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