Guardo la foto del 1998, bronzo in maratona agli europei di Budapest, ai primati nel 2000 a 33 anni: il pantaloncino prima degli short, la canotta prima del top, le spalline prima del bra, il crono prima del GPS, i ciondoli prima del piercing …

Solo uno mi ha chiesto di Maura Viceconte. ‘Non ci siamo incrociati molto: un anno più di me, è cresciuta (atleticamente) più tardi e arrivata ai vertici italiani (tuttora primatista dei 10’000m) che avevo già smesso‘.

Eppure sarebbe ancora competitiva nel Mondo e al top in Europa, importate a parte, parola non solo di Canova. ‘Aveva cominciato senza grande talento. Ha avuto grande continuità di allenamento. E una grande passione‘.

Noi valsusini siamo cresciuti con il mito di questa donna che dalla valle, lavorando, ha spostato i confini del mezzofondo italiano. Con una semplicità straordinaria: è sempre rimasta la Maura che si allenava a Chiusa San Michele‘.

Si legge in un altro passaggio che aggiunge. ‘Sembrava tutto a posto. Solo al regista Luigi Cantore aveva confessato di aver avuto brutti pensieri in passato. Gli aveva spiegato di averli superati‘.

Sorvola la FIDAL e lima il comunicato, linkando l’ultima impresa nel docufilm del novembre scorso La vita è una maratona – La corsa, il mio modo di vivere dopo la vittoria sul carcinoma molto aggressivo.

Abbiamo pensato di far rivivere la mia vita umana e sportiva con testimonianze di buona parte delle persone che mi hanno accompagnata in questo percorso, viaggiando su e giù per l’Italia.

Ad incontrare e intervistare i personaggi che hanno fatto da contorno alla mia vita e avventura atletica. Una maratona anche questa. Ora che il progetto è concluso vorrei che questo racconto

possa diventare uno stimolo e una spinta per i giovani a intraprendere la strada della corsa e dello sport in generale. Un modo per ringraziare tutti coloro che mi hanno sostenuto nella carriera sportiva.

Copio-incollo-formatto per entrare nelle parole e scongiurare i pensieri, non così tragici, che a volte mi raggiungono da atleti per cui la corsa diventa a loro modo malattia, non terapia.

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