Nuovo richiamo di Orlando alla trasmissione in diretta: a dicembre nel blog, ad aprile nella newsletter che copio-incollo-formatto prima che siano sovrascritte 4’000 battute …

Nell’ambizione di migliorare, un podista cerca di ottimizzare i punti forti sul piano tecnico, e migliorare gli aspetti in cui si sente più vulnerabile. Solo quando si corre la gara perfetta, non si pensa a cosa fare per incrementare ulteriormente la propria capacità prestazionale. Quando invece la gara non è andata come si sperava, ecco che nascono spunti di riflessione per migliorare gli aspetti che hanno condizionato il proprio potenziale.

Uno dei casi più semplici, giusto per fare un esempio, è il calo di ritmo che si può manifestare nel tratto finale in maratona, o in gare su distanze più corte. La frequente soluzione a questa perdita di efficienza è l’incremento del chilometraggio delle sedute di “lunghissimo”, o gli allenamenti a “ritmo gara”. A volte l’espediente funziona, soprattutto se il calo di rendimento nel finale è conseguente ad un insufficiente adattamento strutturale e metabolico. Altre volte invece non è così. In quest’ultimo caso, si procede cercando altre soluzioni, alcune adeguate, altre no.

Molto spesso il calo di rendimento in gara, soprattutto nelle lunghe distanze e che non sia determinato da condizioni ambientali specifiche, dipende dalla perdita di efficienza meccanica. I movimenti del corpo in corsa (biomeccanica) compromettono il rendimento, perché possono essere inadeguati a trasformare in modo ideale le energie prodotte dal corpo. In pratica, il “sistema di trasmissione” non trasforma in maniera efficiente la “potenza erogata dal motore”.

Tale situazione non interessa solo i podisti amatori: ricerche sull’analisi biomeccanica fatte anche su corridori di alto livello di rendimento hanno evidenziato che loro stessi perdono efficacia nei movimenti. La stanchezza e la fatica hanno un ruolo rilevante su questa alterazione dei gesti atletici, ma non sempre: questo perché gli atleti che vincono, o che lottano per la vittoria, evidenziano una più alta efficacia meccanica fin sul traguardo.

Mi sono confrontato con altri tecnici appassionati agli aspetti meccanici della corsa, arrivando a definire interessanti punti di osservazione, e quindi di lavoro.

Mi trovo spesso a chiedermi come mai un podista ben allenato e pronto a correre al meglio del proprio potenziale, non consegua la prestazione definita e sperata, anche quando il contesto ambientale è favorevole. Prendendo a riferimento gli studi fatti sulla biomeccanica di atleti di alto livello, ho iniziato a fare ulteriori approfondimenti tecnici personali, specialmente con i ragazzi che alleno direttamente al campo, e con podisti amatori che osservo occasionalmente.

Le idee stanno producendo spunti di lavoro specifico, che non consideravo fino a tempo fa perché mi ero limitato ad osservazioni superficiali. Si può pensare che sia sufficiente correre bene – con uno stile buono – per migliorare la massima prestazione sportiva, mentre è invece necessario considerare aspetti più specifici, che sono correlati anche alla fisica.

Il modo di correre di un podista dipende molto da come il soggetto si muove normalmente, durante le quotidiane attività. Già da questo punto di partenza si evidenziano le situazioni che possono condizionarlo quando corre. Per questo motivo, con l’obiettivo di migliorare la capacità prestazionale in gara, è necessario iniziare ad agire dagli elementi di base.

Correggere la postura, come si tende a fare molto di questi tempi, è certamente corretto, ma è un approccio che generalmente non porta a vantaggiosi cambiamenti tecnici/sportivi, come rilevo dopo che per mesi i podisti in questione hanno lavorato con un personal trainer senza migliorare i primati.

Correre con efficienza, al punto da conseguire miglioramenti cronometrici, è un “lavoro” che va fatto sul campo, dedicando molto tempo agli aspetti specifici che compongono i movimenti della corsa. Ma soprattutto serve l’allenabilità del podista, vale a dire la volontà e la predisposizione ad acquisire gli input conseguenti agli stimoli, affinché portino a movimenti corretti e automatici.

Il gesto della corsa è tutto sommato semplice, ma gli elementi che determinano il movimento di avanzamento condizionano il giusto modo di correre. Non è solo una questione, come affermano con ironia in tanti, di mettere un piede davanti all’altro, e farlo il più rapidamente possibile. È meglio se ci si confronta con le leggi della fisica, e se si cerca di rispettarle.

E se siete arrivati in fondo ai commenti (ms non m/s) trovate un articolo dei mondiali di Londra 2017, dove ho ripreso queste immagini: Mo torna in pista per i mondiali di Doha 2019?

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