Ringraziamo Orlando per la disquisizione fisiologica sull’utilità dell’allenamento intermittente, in queste pagine fin dagli albori di questo blog e fin dai pensieri dell’altro blog

E poi l’estensione che praticavo anch’io! Attenti anche alla meccanica e alla psicologia: sembra di fare poco a chi corre molto e rischia la muscolatura chi ricorda troppo.

Una situazione che mette in crisi ogni podista, di qualsiasi livello di rendimento nel momento in cui è sottoposto ad uno sforzo elevato, è la ridotta disponibilità di ossigeno. Quando viene a mancare questo elemento, le prestazioni fisiche decadono in misura diretta alla sua carenza: con poco ossigeno a disposizione la durata dello sforzo può essere davvero molto breve. E’ risaputo che, in queste condizioni, l’ossigenazione muscolare (OM) ha un aspetto rilevante nella prestazione.

L’OM rileva la quantità di emoglobina ossigenata rispetto all’emoglobina totale all’interno del muscolo. In poche parole, quando lo sforzo s’intensifica l’OM diminuisce, e quando l’intensità dello sforzo cala l’OM aumenta. I corridori più allenati evidenziano un’ossigenazione massimale molto alta, ben superiore ai podisti meno preparati. Con l’allenamento si punta quasi sempre a migliorare gli aspetti dell’OM in modo da fornire più ossigeno ai muscoli.

I corridori meno allenati hanno un ampio divario tra ossigenazione massimale – la quantità ideale di ossigeno che i muscoli possono usare – e ossigenazione effettiva. Può succedere che nell’emoglobina di un corridore ci sia un’alta presenza di ossigeno, ma le fibre muscolari non siano in grado di prelevarlo e resta quindi inutilizzato. L’ossigeno che viene utilizzato viene indicato come “ossigenazione minima”.

C’è poi un altro importante aspetto da considerare per aumentare la prestazione atletica: si tratta della riossigenazione muscolare (RM).  Questo processo si attiva quando le fibre hanno completato lo sforzo, e si ricaricano dell’ossigeno consumato. Praticamente mai l’emoglobina si ricarica di tutto l’ossigeno che ha ceduto ai muscoli (perlomeno non nelle prestazioni con debito di ossigeno), ma con l’allenamento si può agire per stimolare il processo di riossigenazione.

Oltre alla quantità di ossigeno che viene ricaricato nell’emoglobina, è anche importante il lasso di tempo durante il quale si attua questo processo, indicato come tasso di riossigenazione muscolare (TRM). Tutti questi aspetti correlati nello scambio di ossigeno tra emoglobina e fibre muscolari variano in relazione al livello di allenamento.

Se consideriamo un podista che inizia un nuovo ciclo di allenamento dopo il periodo di rigenerazione (che di solito dura qualche settimana), dapprima è consigliabile organizzare la sua preparazione per migliorare l’OM, successivamente si procede per aumentare la RM, ed infine si dovrebbe agire nell’incremento del TRM.

Le ricerche hanno evidenziato che l’allenamento che produce i migliori effetti su RM e TRM è il cosiddetto “allenamento intermittente”. Si tratta di sostenere sforzi sostenuti con tempi di recupero limitati. Quasi sempre viene proposto di correre velocemente per tratti di 15” e cercare di tenere recuperi corti. Il miglior rapporto tra lavoro/recupero è di 1:1. In pratica si deve correre velocemente per 15” e recuperare 15”.

Chi non ha dimestichezza con questo tipo di seduta (molto intensa), può iniziare correndo prove di 15” con recupero di 30” (rapporto 1:2), e gradatamente accorciare la pausa per stimolare il TRM. Si può iniziare anche con sole 5 prove, ma si dovrebbe rapidamente procedere fino ad arrivare a 10 prove. L’evoluzione indica che, piuttosto di arrivare a 15-20 prove consecutive, per un podista amatore è meglio ripetere più serie di 8-10 prove. Tuttavia, i corridori più allenati possono certamente arrivare a 20 prove, e svolgere anche più serie.

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