Non è molto conosciuto in Italia, anche se ha avuto molto a che fare con atleti italiani: i successi di Chicago 1984-85 sono stati oscurati dalle vittorie di Orlando a New York la settimana successiva, nell’uno-due Gelindo-Orlando degli Europei di Stoccarda 1986 si è perso in una tattica suicida, a New York 1988 ha seminato Bettiol ancora nei clamori dell’oro di Gelindo poche settimane prima a Seul. Se aggiungiamo Londra 1985, tutte maratone in 2h07′-08′ quando il record del mondo scendeva da 2h08’18” a 2h06’50” anche con il suo contributo.

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In quell’esordio dove regolò i migliori al mondo, reduci dalle Olimpiadi di Los Angeles 1984 che lui visse in pista sui 10’000m. Gare veloci su ogni superficie, erba-gomma-asfalto, come solo il nostro miglior Franco Fava sapeva fare, ben sapendo che tutto cominciava dai prati e il resto era semplice estensione. Semplice è stata anche la sua vita, casa-lavoro-famiglia sempre di corsa nel suo Galles, dove le due specialità stavano in una pinta: chiara o scura?

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Tenne sempre caro il suo posto di meccanico nella base RAF, almeno fino a quando lo sponsor tecnico di una vita gli rinnovò il contratto nell’autunno 1988 e gli consentì di trasferirsi definitivamente a Boulder, Colorado, dove allena e continua le sue attività promozionali. “I make it simple: no science, no heart monitors. None of it comes out of a book. Just running instinctively. No worry about time. Competition was my clock.”

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Qui un’altra commemorazione del trentennale, anticipata da qualche pillola di training e condita dai video di Chicago 1984 (ultimi 5′ e 45k) e Chicago 1985 (28′ e 31k – si vede bene anche Gianni Poli) e un suo finale di 10’000m usato a fini motivazionali (3′ e 6m). Qui altra commemorazione dell’anno dopo.

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